Il rapido sviluppo dell’economia globale dal dopoguerra ad oggi ha portato a un aumento vertiginoso dei trasporti via mare, che sono ancora oggi i più economici e puliti.
La costruzione di navi sempre più grandi ha determinando l’esigenza di potenziamento delle infrastrutture logistiche a servizio delle aree portuali e un corrispondente sviluppo degli apparati tecnologici, determinando la concentrazione dei servizi portuali in grandi centri globali.
In molti casi, questo ha determinato lo spostamento delle attività portuali al di fuori dei nuclei urbani storici, verso nuove aree maggiormente adeguate a entrare nel circuito dei grandi commerci globali, determinando dunque la separazione di quella simbiosi fisica tra città e porto che aveva costituito per millenni l’identità delle città di mare.
La conseguenza di questi cambiamenti epocali è stata, in molti casi, la dismissione di vaste aree urbanizzate, in precedenza direttamente o indirettamente collegate ai porti. Questo fenomeno ha prodotto un elevato fabbisogno di rigenerazione delle aree portuali urbane dismesse o declinanti al fine di favorire la riconnessione tra città e porto. Questa è solo la prima mossa per il ripristino dell’idea più generale di porto quale luogo di scambio e non solo di passaggio di merci. L’economia per la quale oggi questo scambio è possibile è quella della conoscenza, che investe soprattutto in innovazione, in reti di sapere, in comunità di confronto, sperimentazione e pratica. In questo senso, i porti sono ancora luoghi privilegiati, in quanto i trasporti (e tra questi, come si è visto, quelli marittimi sopra tutto) attirano una enorme quantità di fondi per la ricerca e l’innovazione.